Alla fine dalla battaglia col Formaggio Mannaro, anche se non so bene come, sono uscito indenne. Ma la grave dimenticanza mi è stata un utile monito.

Il recupero del ricordo che ogni giorno sia necessario prestare una grande cura alla barca è stato come un risveglio: mi stavo evidentemente crogiolando in una situazione di benessere e di tranquillità, molto pericolosi!

Ma quell’episodio che ho reso scherzosamente nel post precedente, unito, la sera di due giorni fa, alla notizia che dei partecipanti alla GGR (la Golden Globe Race partita più di un mese prima di me e tuttora in corso) abbiano avuto gravi problemi per una forte burrasca nell’Oceano Indiano, mi hanno risvegliato tutti i sensi.

Già normalmente la mia giornata è scandita da un breve check up della barca, dentro e fuori, da prua a poppa o viceversa.

Tutto continua ad essere sostanzialmente in ordine, ma è imperativo essere sicuri di tutte le strutture e di tutti gli impianti. Sempre e tutti i giorni!

Di solito comincio dall’esterno, con una visita ispettiva che parte dall’estrema poppa dove l’insostituibile timone a vento (Mustafà per gli amici) viene quotidianamente sottoposto ad un’accurata analisi di tutte le sue componenti: la parte immersa, il flettner, tutta la bulloneria, il settore circolare ed infine la ventola di legno e tutta la bulloneria. Verifico tutto toccando con le mani e restando “in ascolto” tattile per verificare se i “giochi”, che devono pur esserci, siano rimasti nelle tolleranze ovvero siano aumentati e se c’è qualcosa che merita un’analisi più approfondita. Ormai quest’oggetto – che ricordo essermi stato prestato da un caro amico, deve avere circa 20.000 miglia dietro la propria scia e più di vent’anni di età. E siccome ne deve fare altrettante di miglia, anzi ancor di più, merita il massimo rispetto!

Comincio poi a procedere verso prua controllando le sartie volanti, mettendo in ordine le scotte in pozzetto, verificando la tensione delle life-lines, gli arridatoi delle sartie e degli stralli, l’avvolgifiocco – che a volte durante la notte si imbroglia da solo perdendo mezzo giro della sua scotta – l’attrezzatura del boma e la corretta tensione delle drizze e, come in questi giorni, delle prese di terzarolo che non abbiano mollato oppure che i matafioni non pizzichino la tela della randa, raccolta intorno al boma, provocandone magari degli strappi o dei tagli.

Come sempre quando scrivo così mi scuso con quanti siano poco avvezzi ai termini marinareschi, ma se dovessi sviluppare i concetti di sopra in italiano “normale” probabilmente non raggiungerei lo stesso il risultato di farmi capire e impiegherei tre pagine per farlo 😉

Ripasso poi tutti i giorni mentalmente l’eventuale (e assolutamente denegata) ipotesi di dover ricorrere alla manovra di liberare la zattera di salvataggio, ben legata in coperta poco avanti la base dell’albero, per un eventuale abbandono della barca in mare aperto. Per scaramanzia non vorrei nemmeno pensarci ma davvero qui non c’è spazio per essere scaramantici. Si fa e basta!

All’interno una particolare cura la dedico all’impianto elettrico ed alla verifica che i sistemi di ricarica automatica – generatore eolico e pannelli solari – funzionino a dovere e calcolo mentalmente il tempo che posso permettere al frigorifero di funzionare e ascolto la frequenza con cui si avvia la pompa di sentina per stabilire, in base alla mia esperienza, se vi sia qualcosa che non vada. Perché uno dei peggiori incubi di chi

va per mare è la falla. Che con tutte le prese a mare che ci sono che fanno “dialogare” l’interno dello scafo con il mare profondo, purtroppo e ahimè non costituisce un’ipotesi troppo remota. Quindi alè: ogni settimana tutte, e dico tutte, le prese a mare vengono revisionate e abbondantemente innaffiate di lubrificante non appena mi accorgo che divengono dure durante la manovra di chiusura. Per la cronaca a bordo ce ne sono 13!

Una volta ogni due settimane mi concedo anche una scomodissima gita all’interno del vano motore dove ispeziono accuratamente i comandi del timone, la sistemazione del pilota automatico, le prese a mare qui collocate, la marmitta del motore ed il tubo di scappamento. Tutti i collegamenti elettrici del motore, dell’alternatore, i filtri del gasolio, il livello dell’olio e dell’acqua e la pompa dell’acqua di mare. Una goccia d’olio che non c’era, un po’ di ossido su un terminale devono essere immediatamente verificati. E sistemati

Per adesso ho collezionato pochissimi inconvenienti: un po’ li ho riparati a Capoverde e i nuovi li sistemerò a Città del Capo. Non voglio affrontare l’Oceano Indiano con la barca che non sia nella sua forma migliore. Devo sempre ricordare e ricordarmi che la ragazza ha più di 40 anni!

Passata la rassegna, un altro argomento che mi occupa parecchio tempo è rappresentato dalla cucina e dal cucinare, con tutti gli annessi e connessi (lavare i piatti ad esempio, cosa che odio fare…)

Dimenticavo la produzione dell’acqua! Altra bella attività che nonostante sia compiuta dal desalinizztore automatico mi porta via sempre un sacco di tempo, perché l’utilizzo di questo apparecchio durante la navigazione non è affatto semplice. La barca infatti col suo moto e la sua velocità fa si che molto spesso venga aspirata dell’aria dalla pompa e il sistema si blocchi. Quindi devo spurgare l’aria e far ripartire il meccanismo. Praticamente per produrre 30 litri d’acqua dolce impiego circa due ore contro l’una che servirebbe se fossi bello fermo in una rada tranquilla e pulita.

Quando poi tutto questo finisce e mi lascia del tempo libero, tramite la mia mail satellitare…. continuo il mio lavoro in studio a Milano.

Faceva parte del progetto e sono ben contento di riuscire a rispettare l’impegno! Così quando rientrerò potrò tranquillamente alternare settimane di presenza in ufficio con altrettante di…presenza da remoto 😉

Ma di questo, così come della seconda parte del viaggio da Capoverde a Capo di Buona Speranza, vi parlerò la prossima volta…